Solitudine, angoscia, tristezza, vuoto, alienazione e pure depressione. Chi più ne ha, più ne metta! Non vi sembrano sensazioni familiari? Almeno una, tra queste sensazioni, l’abbiamo provata tutti durante i giorni di lockdown.
Nessuno più di Edward Hopper può descrivere con la sua arte quello che abbiamo passato durante i primi mesi di questo assurdo 2020.
Ci siamo trovati di fronte a qualcosa di totalmente nuovo, mai sperimentato. Nessuno è riuscito più a rassicurarci, neppure i medici. Siamo stati segregati in casa, chi forzatamente solo, chi forzatamente insieme, chi forzatamente separato. Nessuna possibilità di scelta. Tutti i punti di riferimento sono saltati da un giorno all’altro.
Hopper e il tempo sospeso
Hopper, per i pochi che non lo conoscessero, è un artista americano, nato nel 1882. Dovette attendere vent’anni prima che qualcuno si accorgesse di lui e comprò una sua opera. A fronte di questa grande attesa e delle sue capacità artistiche, nessuno meglio di lui è stato in grado di esprimere il tempo sospeso.
L’artista un secolo fa anticipò il lockdown. Persone, prima in casa, affacciate alle finestre; dopo nei locali, vicini ma distanziati.
Sola, in casa, seduta sul letto a guardare il sole del mattino che entra dalla finestra, lo sguardo perso nel vuoto. Sembro io, nei mesi di marzo e aprile, pochi istanti dopo il suono della sveglia impostata alle 8.40 per iniziare a lavorare in maniera “smart” alle 9.00.
Nei Nottambuli del 1942, probabilmente il quadro più conosciuto di Hopper, va in scena il post lockdown. Dal 4 maggio la tanto attesa riapertura dei locali. Milano è deserta, la gente ancora non si fida a uscire, ha il timore di socializzare come una volta. È un’istantanea scattata sicuramente prima delle 2, ora in cui scatta il coprifuoco. Il silenzio domina l’immagine, solo il barista (immaginatevelo con la mascherina) pare tentare un approccio. Gli altri sono soli, come se fossero divisi da una barriera di plexiglas (dubbio amletico: plexiglas con una s alla Salvini o con doppia s alla Azzolina?). La solitudine va a braccetto con l’incomunicabilità. L’uomo e la donna sono vicini, non parlano e fissano il vuoto, eppure sembrano intimi ma sono più soli insieme di quanto lo sia l’uomo seduto in disparte. Isolamento, alienazione, tristezza.
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Non era un veggente ma…
Hopper non era un veggente ma un grande artista che dipinse magistralmente la solitudine americana in un’epoca diversa rispetto alla nostra. La sua arte però è avanguardia e può essere calata perfettamente ai nostri giorni, in generale, e ai giorni del lockdown e del post lockdown, in particolare.
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